Il Design Thinking è una metodologia di progettazione nata nella seconda metà del secolo scorso che negli ultimi anni ha riscosso molto successo nel mondo del business ma che trova grande applicazione anche nella vita di tutti i giorni per prendere decisioni.
In particolare risponde all’esigenza di portare maggiore creatività nelle aziende moderne che sono dominate da un pensiero estremamente analitico sottovalutando la dimensione creativa.
Il mondo di oggi viaggia ad una velocità mai vista prima e se si vuole sopravvivere nel business è necessario innovarsi continuamente.
Scopriamo come nasce, come utilizzarla, le sue varianti e quali sono i punti di forza e debolezza.
Il primo ad iniziare a parlare di Design Thinking fu il grande Herbert Simon (Nobel Economia e Premio Turing) nel suo articolo “Sciences of the artificial” del 1969, in questo documento sottolinea l’importanza della definizione del problema e della creatività.
Il termine Design Thinking come lo conosciamo oggi è stato coniato agli inizi degli anni 90 da David Kelley e Tim Brown, docenti alla Stanford University in ingegneria meccanica, i due poi fondarono la famosa società di consulenza IDEO che ha diffuso in tutto il mondo l’approccio di questa metodologia.
La definizione classica di TD è la seguente:
“Il Design Thinking è un processo iterativo per risolvere problemi complessi. Nel Design Thinking cerchiamo di comprendere l’utente, sfidare le assunzioni iniziali e ridefinire i problemi nel tentativo di identificare strategie e soluzioni alternative che potrebbero non essere immediatamente evidenti con il nostro livello iniziale di comprensione.”
La forza di questa metodologia sta nel mettere al centro le persone, il lavoro di squadra con la loro creatività e pensiero laterale.
Le caratteristiche fondamentali del processo sono:
Le fasi del modello si sviluppano in cinque punti iterativi come rappresentato nell’immagine sotto:
La prima fase del processo di Design Thinking è quella di mettersi nei panni del cliente, del potenziale utilizzatore dei nostri prodotti, servizi e processi o di noi stetti se il processo è incentrato su una decisione che ci riguarda.
Il fine è quello di comprendere a fondo qual è il problema che vogliamo risolvere.
Per farlo ci possiamo avvalere di numerosi strumenti che a seconda dei casi riteniamo più opportuni lavorando su tre livelli: ingaggio, osservazione e immersione/immedesimazione.
Durante questa fase si mettono insieme e studiano le informazioni raccolte nello step precedente al fine di avere una buona comprensione dei clienti o di noi stessi e definire il problema con un’affermazione Human centered.
Ad esempio, se stiamo lavorando sull’aumentare la quota di mercato di un nostro prodotto del 10 % non ci stiamo ponendo il problema nella giusta ottica.
Dobbiamo metterci nei panni dell’utilizzatore finale e capire quali bisogni o risoluzioni di problemi potremmo offrire e di conseguenza aumentare le nostre quote di mercato.
Durante la terza fase del processo di Design Thinking, tu e i membri del tuo team potete iniziare a “pensare fuori dagli schemi” per identificare nuove soluzioni alla dichiarazione del problema che hai creato e puoi iniziare a cercare modi alternativi di visualizzare il problema.
Esistono diverse tecniche di ideazione come il Brainstorming, il Brainwrite, la Worst Possible Idea ed il metodo SCAMPER.
SCAMPER è l’acronimo di: Substitute, Combine, Adapt, Modify (anche magnify and minify), Put to another use , Eliminate, and Reverse.
La prototipazione porta in concreto le idee concettualizzate nelle fasi precedenti. Un prototipo può essere tutto ciò che ha una forma fisica o interfaccia digitale e per sua natura è “grezzo” e ha il solo scopo di cominciare la sperimentazione e capire come reagirà il mercato e l’utente finale.
Non serve spendere grosse cifre, anzi. Per gli oggetti fisici spesso bastano strumenti che si possono acquistare sotto casa.
La fase di test ci consente di ricevere feedback e perfezionare la nostra soluzione.
Per la sua natura iterativa la fase di test assume un ruolo cruciale; infatti, da qui si parte per avere ulteriori info dall’utente, perfezionare l’idea o ripensarla totalmente e quindi come illustrato nello schema in alto dal test si rientra in qualsiasi fase del processo.
Il design thinking in realtà non è solo un processo o una metodologia, ma un vero e proprio mindset, approccio mentale. Anzi, assorbire alcuni principi del DT come mindset è fondamentale per garantire il migliore output per il processo. Occorre curiosità, dare priorità all’azione rispetto al pensiero, essere pronti a ripartire da zero e soprattutto collaborare.
E ricordate che non è una metodologia astratta. Già da tempo viene utilizzata negli headquarter di grandi multinazionali per stimolare l’innovazione. Tra queste ricordiamo Toyota, Apple, Microsoft, Samsung, Bank of America, Pepsi, Nike.
E Google? Pensate che in Google è stato persino costituito un team guidato dal designer Jake Knapp, all’interno di Google Ventures (la società di venture capital del gruppo creata per investire in startup esterne), che ha ridefinito il processo, inventandone uno definito di “design sprint”, per testare nuove idee in soli 5 giorni.
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Progetto editoriale Flexx Group:
Titolo: “Cos’è il Design Thinking e quali sono i suoi principi”
Produzione & Redazione: Flexx Media
Autori: Matteo Pianosi
Editing: Barbara Reverberi
Executive Director: Francesco Muscò
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